Giovanni Varvaro
Geniale e versatile, crebbe in ambiente familiare ricco di stimoli d’arte: il nonno era maestro nella cappella del Real Teatro Carolino di Palermo, il fratello Giuseppe era narratore, il fratelli Pietro poeta, le sorelle entrambi musiciste (Rosina diplomata in pianoforte, Luigina in violino); gli erano parenti quel raffinato decoratore e pittore che fu Rocco Lentini e i futuristi Vittorio Corona e Pino Masnada.
Nel suo studio di vicolo Malfitano si entrarono e mossero i primi passi nel cammino della pittura Corona e Rizzo; con loro Varvaro fu poi animatore di quel vivace gruppo di intellettuali, che futuristeggiando vivacizzarono negli anni Venti la vita artistica palermitana.
Antiquario, restauratore di quadri e cesellatore, a tempo perso poeta, divertito artigiano di vivaci mobili futuristi, abile musicista, suonava vari strumenti, ma soprattutto la chitarra: nell’Aprile del ’28 suonò perfino la cetra davanti a Marinetti durante un banchetto e ballò un frenetico charleston futurista ricevendone calorosi apprezzamenti.
Componeva canzone, ma anche ne ricercava e raccoglieva dal grande patrimonio folkloristico siciliano ed italiano. A Palermo espose come futurista nelle mostre del ’25, del ’26, del ’27 e ’28 e rientrato in un ambito più tradizionale, nelle Sindacali degli ulimi anni Venti, degli anni Trenta e Quaranta.
Fu presente, sempre come futurista, a Taormina, nella Mostra Internazionale d’Arti Decorativedel 1928 e nello stesso anno nella IV Biennale Nazionale Calabrese di Reggio Calabria e nella Biennale di Venezia, nel 1933 nella Sindacale di Firenze e nel 1937 a Napoli.
Dagli anni Quaranta in poi, e fino alla sua morte, si dedicò alla pittura soprattutto per soddisfare la sua intima vena artistica, alimentata dai paesaggi marini e campestri del suggestivo territorio marsalese, dove trascorreva lunghi e rasserenanti periodi: meno frequenti furono allora le sue presenze in manifestazioni pubbliche.
Insegnò a lungo – amatissimo docente – all’Istituto d’Arte a Palermo.
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